Chi vive nel passato è depresso, chi vive nel futuro è ansioso.
Così ho sentito dire. La ricetta per la felicità è vivere il presente.
Ci pensavo ieri mentre aspettavo le pizze. In fondo è talmente semplice che non farlo farebbe sembrare stupido chiunque. Affronti le giornate come vengono, perché sul futuro non hai controllo e sul passato non hai potere.
Alzarsi al mattino, fare la colazione, cercare di mantenere la sanità mentale, gestire il viaggio verso il lavoro senza troppa tensione perché chi troverai per strada non dipende da te. Se sfalciano l’erba prima dello svincolo che ti porta in ufficio, sorridi e alza il volume della radio.
Sembra facile, sembra banale. Però non lo è perché abbiamo sempre l’occhio all’orologio, il piede che scalpita sul pedale dell’acceleratore, il pensiero a quello che dobbiamo fare oggi, domani, dopodomani, e la zavorra di quello che non abbiamo fatto ieri.
Però io dico che allo stesso tempo il futuro può essere anche aspettativa. Speranza? Perché no.
E il passato è una certezza, soprattutto per quanto riguarda i ricordi.
Ieri sera annusando l’aria che annunciava il cambio di temperatura, con la mia maglietta dei Nirvana e le Birkenstock nuove (sì, sono arrivate), ho finito di svuotare la vecchia, catatonica Punto.
Oggi sarebbe passato il carroattrezzi per venirla a recuperare e vedere se c’è qualcosa di salvabile per farla tirare avanti almeno fino alla fine dell’estate, ma essendoci anche la possibilità di doverla lanciare, non potevo lasciare nulla al suo interno.
Giocattoli dei bimbi nascosti sotto i seggiolini, briciole di pane ancorate ai tappetini. Nel bagagliaio, sotto a uno scatolone di vecchi abiti da portare in discarica da un po’, una vecchia ecografia di Giorgia, forse sfuggita dalla cartella di nascita.
Qualche pelo del Pino. Eravamo in macchina insieme l’ultima volta in cui l’ho visto ancora apparentemente vispo e vecchio, e poi se n’è andato.
Quando ho chiuso a chiave la porta, ho rivisto in quel catorcio vecchio e malandato tanti momenti belli e unici della mia vita recente. È stata la mia prima macchina, lo è tuttora. La macchina con cui ho iniziato ad andare in giro con Giorgia nell’ovetto, agganciata al sedile anteriore ascoltando la musica da una cassa bluetooth.
È la macchina con cui mi sono fatta tutti i miei giri di visite durante la gravidanza di Filippo. Ricordo bene il penultimo monitoraggio quando ho parcheggiato lontano dall’ospedale con la valigia già pronta sul sedile posteriore, certa che mi avrebbero ricoverata perché all’ultimo controllo, il farabutto nano si era messo di traverso dentro la pancia.
E i viaggi con entrambi, per farli rilassare e magari addormentare.
La macchina che era di mio nonno.
Era solo una macchina, è solo una macchina, che ora ha lasciato un posto vuoto nel parcheggio sotto casa per la gioia di quelli del ristorante.
Magari tra un mese torna indietro per regalarmi un’ultima estate insieme, la sesta.
Magari no.
Staremo a vedere, se sarà destino creare ricordi nuovi con una cosa vecchia o cercare qualcosa per realizzare nuovi momenti da vivere.
